Un nuovo e duro colpo è stato inferto dalle forze dell'ordine alla criminalità organizzata della provincia di Caserta. Non riuscendo a liberarsi dalla brucellosi, alcuni (invero pochi, vicini alle famiglie di camorra) e ben noti allevamenti del basso casertano si sono barcamenati negli anni imponendo dapprima un clima di particolare "rispetto" ad una parte degli operatori della sanità pubblica che per diverso avrebbero – si dice – allentato la morsa dei controlli, e introducendo poi alcuni escamotage teraupetici – chiamiamoli così – pur di farla franca.
Beninteso: stiamo parlando di frange marginali su un totale di operatori onesti, frange che – come già emerso nel 2013, quando la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere decretò il sequestro di oltre venti allevamenti – sottoponevano i propri capi adulti al vaccino Rb51 (normalmente destinato ai capi dai sei ai nove mesi di vita per prevenire i contagi) per nascondere la brucella.
A finire nei guai questa volta è stato il laboratorio di analisi Dilorlab s.a.s. di Mondragone, sequestrato nei giorni scorsi dai Carabinieri dei Nas a seguito degli sviluppi dell'inchiesta che proprio nel 2013 ebbe il suo avvio. I militari dell'Arma hanno notificato il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti del laboratorio che effettuava le analisi sui capi bufalini e sul loro latte per conto di molti allevamenti del casertano e del napoletano, con l'obiettivo proprio di ricercare eventuali positività alla brucellosi.
L'investigatori avrebbero appurato che, contravvenendo alle disposizioni del Ministero della Salute, nella struttura venivano effettuati esami diagnostici illeciti in quanto finalizzati a informare preventivamente gli allevatori dell'insorgenza della malattia, al fine di consentire ai medesimi di macellare o di trattare i capi con vaccino Rb51 prima dei controlli della Sanità pubblica.
A seguito delle indagini è stato appurato che molti capi infetti sarebbero stati macellati e le loro carni immesse in commercio, e che il latte sarebbe stato lavorato per la produzione di mozzarelle.
Per tranquillizzare l'opinione pubblica, gli inquirenti hanno sottolineato che “l'esposizione agli animali infetti e ai loro derivati comporta, in linea generale, un rischio professionale per gli operatori" e che "la pastorizzazione del latte e la cottura delle carni sono sufficienti a distruggere il batterio della brucella". Allo stesso tempo però hanno rammentato che "il pericolo della contaminazione crociata di altri alimenti che in qualche modo sarebbero potuti venire a contatto con quelli potenzialmente infetti, costituiva un'ulteriore minaccia per la salute pubblica”.
Le indagini hanno portato i militari dei Nas ad individuare 68 persone, tutte indagate ora per vari reati, e a sequestrare i kit diagnostici utilizzati illecitamente. L'inchiesta ripropone l'esistenza di laboratori che, tradendo la missione di servizio a vantaggio della salute pubblica, si predispongono a svolgere ruoli di utilità a favore di attività criminose.
6 febbraio 2017