Antibiotico-resistenza: zootecnia intensiva e ignoranza le criticità

In un adulto su quattro le terapie antibiotiche contro la polmonite falliscono. Il mondo scientifico lancia l’allarme, su tutti i canali esistenti: dai siti web dei centri di ricerca ai convegni, che si susseguono con toni sempre più allarmati. Le statistiche europee sono oramai allineate a quelle provenienti dagli Stati Uniti. Negli ultimi anni l’efficacia delle varie classi di antibiotico (beta-lattamici, macrolidi, tetracicline e fluorochinolone) si è andata via via riducendo, arrivando ad essere inefficaci all’incirca in un quarto dei casi (tra il 20, 8 e il 25,7% di essi).

Ad ufficializzarlo è stato nei giorni scorsi uno studio presentato dai ricercatori della Los Angeles BioMed, nel corso dell’American Thoracic Society International Conference 2017. Lo studio ha esaminato i documenti relativi a 251.947 pazienti adulti che sono stati trattati tra il 2011 e il 2015 con antibiotici, a seguito di polmonite contratta in ambito extraospedaliero.

Ma è solo un caso tra i tanti studiati, circoscritto ad una specifica malattia. Più in generale le ricerche convergono verso le criticità maggiormente diffuse, che fanno emergere la necessità di gestioni coordinate e multidisciplinari delle terapie antimicrobiche, indispensabili nella cura di molte infezioni, per raggiungere risultati clinici ottimali. Al complicarsi e al protrarsi dei trattamenti sono legati il problema della tossicità degli stessi, gli eventi avversi correlati all’eccessiva somministrazione di farmaci, gli aumentati costi sanitari, la maggiore durata delle degenze. E la sempre più rilevante selezione di ceppi resistenti ai trattamenti antimicrobici.

Il mondo scientifico risponde mettendo a punto nuove molecole ad alta efficacia antibatterica e antimicotica, realizzate con tecniche produttive sempre più raffinate, contando di poter fornire ai clinici degli strumenti mirati ed efficaci a contrastate le infezioni. Il lavoro interdisciplinare tra clinici, farmacologi, biologi, immunologi è basilare per garantire adeguate competenze a tutti gli attori implicati in una delle più complesse problematiche sanitarie e sociali dei nostri tempi.

A preoccupare fortemente sono la scarsissima sensibilizzazione e conoscenza in materia dell’opinione pubblica (su questo ci sono studi clamorosi) e l’inadeguatezza delle misure intraprese nell’ambito zootecnico (su questo si tace molto), dove le resistenze tornare sui propri passi sono dettate dagli interessi in gioco.

Il 70% della gente non sa. E se sa, sbaglia
Mentre le autorità sanitarie intensificano i propri controlli sull’abuso dei farmaci nella zootecnia intensiva, la preoccupazione sale sul fronte dell’informazione, dal momento che le campagne di sensibilizzazione sin qui condotte non hanno portato alcun risultato apprezzabile. La gran parte della gente non sa, ignora il problema. Non lo conosce sinché non ne viene toccata.

A denunciarlo è una recente indagine dell’Efsa (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), che ha rivelato che quasi il 70% degli europei intervistati riconosce di non avere sufficienti informazioni sull’uso degli antibiotici nelle stalle dove gli animali da reddito sono allevati industrialmente: Pensare poi che soltanto tre delle oltre venti domande poste agli intervistati ha ricevuto più del 50% di risposte corrette: 1. gli antibiotici sono usati per guarire infezioni degli animali; 2. gli antibiotici sono usati per prevenire le infezioni; 3. gli antibiotici uccidono i batteri.

Al contempo più del cinquanta per cento degli interpellati hanno manifestato opinioni sbagliate su diversi e importanti aspetti del fenomeno, con risposte che si stenterebbe a credere vere. Ma che vere purtroppo sono; drammaticamente vere. Il campionario è assai vasto: c’è chi crede che gli antibiotici uccidano i virus (sbagliatissimo), che siano usati più sull’uomo che negli animali (errato!), e che in questi servano a stimolarne la crescita (ma dài!).

In sostanza l’indagine ha permesso di portare alla luce convinzioni assai errate, oltre che diffuse, luoghi comuni del tutto infondati, ed errori marchiani. Ad esempio, sugli antibiotici utilizzati negli allevamenti di animali da reddito la gran parte della gente o non ha idee o ne ha di errate (è credenza diffusa ad esempio che gli antibiotici utilizzati negli allevamenti siano diversi da quelli impiegati nell’uomo), dando motivo d’interpretazioni non corrette e largo spazio alle strumentalizzazioni.

A trattare in maniera profonda e interessante questo aspetto non secondario del problema è stato martedì scorso il sito web dell’Accademia dei Georgofili, con l’illuminante articolo del professor Giovanni Ballarini dell’Università degli Studi di Parma, intitolato “Antibiotici negli allevamenti e opinione pubblica“.

Ad emergere dal suo pezzo, dei dati che dovrebbero risvegliare le coscienze, si spera almeno quelle dei politici a cui è demandato il compito di scelte rigorose. Ad esempio, spiega Ballarini,  “Nel mondo, tra il 2000 e il 2010 il consumo di antibiotici è aumentato del quaranta per cento e in Italia il 45% dei ricoverati negli ospedali è trattata con questi farmaci, mentre i decessi per infezioni antibioticoresistenti è stimata tra i 4.500 e i 7.000 casi. Di questa resistenza ce ne siamo accorti soprattutto in conseguenza dell’uso diffuso e massiccio degli antibiotici non solo negli uomini, ma anche negli animali di fattoria e familiari e da qui la necessità di un loro uso intelligente da parte dei medici, dei veterinari, degli allevatori e della popolazione tutta, per quest’ultima partendo da una loro precisa conoscenza”.

“Più recente”, prosegue l’articolo, “è l’acquisizione della importanza di un’efficace informazione e educazione all’uso responsabile degli antibiotici da parte dei medici, veterinari e allevatori, non ultima la popolazione tutta. Si può dire che nei paesi industrializzati quasi tutti conoscono e usano la parola antibiotico, ma quale è la conoscenza di cosa siano, come funzionino e come usare questi farmaci? Riguardo agli antibiotici, quattro sono le false idee sul loro uso nell’uomo e negli animali. Per l’uomo, molti credono che gli antibiotici servano a curare gran parte delle malattie e che il loro uso provochi una non meglio definita debolezza. Per gli animali, vi è la leggenda che siano indispensabili per sostenere artificialmente gli allevamenti intensivi e che in questi siano usati per ingrassare gli animali.

Se poi andiamo a “misurare” l’entità del problema, scopriamo che “Negli USA ogni anno vi sarebbero almeno ventitremila morti per infezioni antibioticoresistenti e un numero simile nell’Unione Europea. Una stima della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) valuta in settecentomila i morti ogni anno causati da batteri antibioticoresistenti, e nel 2050 i morti potrebbero arrivare a dieci milioni che, in una più fosca previsione dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), potrebbero divenire trecento milioni nei prossimi trentacinque anni”.

Una situazione la cui soluzione davvero non può attendere oltre. Al consumatore consapevole non resterà altro da fare che approfondire ed allontanarsi il più possibile dai prodotti industriali, preferendo sempre quelli di piccole aziende dedite all’allevamento estensivo (anche se non biologiche), dove ad una conduzione più naturale delle attività corrisponde inevitabilmente un ridottissimo uso di farmaci (e l’esclusione dei prodotti degli animali trattati dalla commercializzazione).

29 maggio 2017

Per leggere l’articolo integrale del professor Giovanni Ballarini, cliccare qui