Checché se ne dica, noi italiani, che produciamo cibo a volte buono, altre meno, quasi mai però nel pieno rispetto dell'etica animale (lattifere o da carne, erbivori sono, ma ce ne siamo "dimenticati") e dell'ecologia (quante monoculture di mais, anche per tante Dop? quale impatto ambientale?), abbiamo un problema assai serio, derivato da anni di dittatura della comunicazione agricola corporativa (in prevalenza Coldiretti) e dall'incessante attività mediatica di consorzi, industrie e pennivendoli mai troppo onesti nel raccontarsi (i primi) e raccontare (le penne prezzolate) la verità delle cose.
La banda del "made in Italy" che da anta anni si arroga di prepotenza una presunta superiorità, mai dimostrata né dimostrabile (oltre che in netto calo da diversi lustri), non si sa specchiare nei mercati di riferimento del panorama internazionale. Anzi, non ci si vuole affatto specchiare, e continua a ripetere: "Siamo noi i migliori, lo siamo stati e lo saremo sempre": sembra il mantra del fasullo che gode del privilegio di accaparrarsi la stragrande disponibilità dei finanziamenti pubblici, attraverso meccanismi ben oliati, che danno ai grandi la parte maggiore della torta, e lasciano ai piccoli la fetta sottile, l'odore del denaro vero, le monetine e poco più.
E così, mentre noi continuiamo a farcela raccontare, a raccontarla, e a credere che gli italici prodotti siano i migliori in quanto nati nei nostri "magici" territori, il mondo va avanti e si interroga. Non certo sui primati ma sulla sostanza, perché il cibo è vita (in teoria) ma è purtroppo e spesso morte, o malessere, o danno sociale (i costi del junk food, qualcuno li pagherà, prima o poi, ndr).
Conservanti e coloranti: ce ne siamo dimenticati? – Eh, no, amici cari: non siamo né pessimisti né esagerati, siamo solo più realisti del re; basterebbe pensare ai conservanti e ai coloranti che ogni giorno ci infliggiamo, Come si combinano tra di loro, nel nostro organismo, le diverse chimiche delle fantomatiche "E"? Argomento che, malgrado noi e pochi altri, pare non interessare più nessuno. Se mai abbia davvero interessato qualcuno.
La sorpresa poi da qualche parte arriva, statene pur certi. Come quella che ci raggiunge in queste ore dal Perù, sì, da uno Stato in cui, pur non esistendo alcun vanto di "made in Peru", qualcuno è stato capace a dirlo – e a dirlo forte – il suo "no!": "È ora di dire basta ai conservanti in odore di danneggiare la salute pubblica!".
In sostanza è accaduto ciò che dovrebbe accadere ovunque, anche e soprattutto da chi si crede o si è abituato a sentirsi dire di essere al top del top: il nutrizionista e avvocato Claudia Agüero di "Società Salute" ha richiesto con autorevolezza e decisione spiegazione dei conservanti utilizzati nel lattiero-caseario. Individuando, attraverso analisi di laboratorio, ben venti prodotti fuori dai parametri previsti dal Codex alimentare e dagli standard tecnici del proprio Paese.
Un'associazione di consumatori dalle analisi del cibo al "Basta ya!" – E così, dall'altra parte del mondo, una vera e propria controversia è stata avviata nei giorni scorsi contro il consumo di prodotti lattiero-caseari, grazie alla denuncia dell'associazione peruviana dei consumatori Aspec (Asociación Peruana de Consumidores y Usuarios). L'avvocato Agüero, nutrizionista impegnato nel campo della salute sociale, e i suoi collaboratori, hanno osservato che molti dei prodotti lattiero-caseari attualmente venduti sul mercato nazionale contengono diversi additivi a cui vengono attribuiti effetti collaterali negativi per la salute umana, senza che la loro presenza venga mai troppo enfatizzata in etichetta. Una battaglia civile sacrosanta, come da noi – popolo di anestetizzati – non accadrà mai.
«La maggior parte delle etichette utilizzate negli alimenti trasformati non mostra», ha spiegato la Agüero, «il vero contenuto nutritivo, e usa termini complessi, in grado di confondere i consumatori, lasciando irrisolte molte domande, rendendo impossibile fare una buona scelta».
Tra i diversi additivi messi in discussione c'è, ad esempio, la carragenina, nota nel mondo come E407, ottenuta per estrazione dalle alghe rosse. «In molti Paesi», ha proseguito la Agüero, «questo addensante naturale utilizzato in alcuni prodotti lattiero-caseari e in quelli da da forno, non è raccomandato per le donne incinte e i bambini, in quanto ad esso è attribuita l'insorgenza di ulcere intestinali e di allergie. Nell'Unione Europea, ad esempio, non è ammesso come additivo negli alimenti per bambini di età inferiore a tre mesi e mezzo, dal 1992», ha aggiunto la nutrizionista.
Sali di fusione: iperattività e problemi digestivi – Altro additivo alimentare che viene spesso aggiunto agli alimenti trasformati è l'ortofosfato trisodico, E399. Secondo l'Agüero, questo conservante viene utilizzato per correggere l'acidità del prodotto, e il suo consumo in dosi elevate può causare iperattività e problemi digestivi.
«Sebbene il codice alimentare permetta l'uso di questi due additivi, ma in quantità molto piccole, e controllati secondo le buone pratiche di fabbricazione, essi potrebbero essere dannosi per la salute, se consumati in eccesso, attraverso alimenti trasformati». Aguero ha aggiunto che per evitare confusioni l'etichettatura dovrà essere più facile da leggere e da capire, specificando, ove ve ne siano, la presenza di sostanze nocive per la salute, in modo che il consumatore possa almeno scegliere se acquistare o meno.
A tale proposito appare interessante l'articolo, apparso sabato scorso sul sito web El Comercio, raggiungibile da qui.
Sui fosfati di sodio, appare eloquente la scheda pubblicata nello scorso gennaio dal sito web italiano My Personal Trainer. Si tratta dei cosiddetti sali di fusione, utilizzati nelle sottilette, nei formaggini e nelle creme di formaggio: sono quattro (fosfato di sodio, mono-ortofosfato di sodio, di-ortofosfato di sodio e tri-ortofosfato di sodio).
Nelle varie coniugazioni utilizzate, hanno la funzione di regolare l'acidità e svolgere funzione antiossidante, e vengono usati come agenti chelanti (per legare ioni metallo) e per evitare la formazione di grumi.
In Italia però, la sua catalogazione appare interpretata in maniera difforme, oscillando tra un benevolo "non sembra presentare alcun effetto collaterale negativo" (My Personal Trainer) ad un inquietante "correttore di acidità da evitare" (Albanesi.it).
Il Perù si è svegliato. Seguiremo la vertenza per noi e per voi, d'ora in avanti.
27 giugno 2017