Una grande partecipazione ha accompagnato venerdì scorso 23 giugno a Caramagna Piemonte, in provincia di Cuneo, l’atteso convegno sulla locale Oasi prativa e sulle filiere dell’erba. Una partecipazione attenta dei presenti per l’intera durata – ben oltre due ore – in cui si sono succeduti molti e interessanti interventi su cui vi daremo conto qui oggi e in una seconda parte dell’articolo (che verra linkata in calce a questo), nelle prossime settimane.
In una sala gremita ben oltre le più rosee previsioni (oltre cento i presenti, in prevalenza operatori di aziende agricole della zona e di altri territori piemontesi, sindaci, assessori, altre autorità, tecnici agronomi, veterinari, etc.) gli interventi si sono succeduti incalzanti e mai banali.
A entrare nel vivo della questione, dopo i saluti di rito e l’introduzione a cura dell’assessore all’Ambiente del Comune ospitante, Dario Colombano, si è registrato un breve e promettente intervento (nel video qui sopra) del viceministro Andrea Olivero, in cui l’alto esponente di Governo ha affermato i valori delle produzioni di qualità reale e la necessità di sostenerle nell’aggregazione tra produttori e verso l’incontro con i consumatori.
L’intervento del Prof. Andrea Cavallero – La parte del leone è stata ancora una volta appannaggio del professor Andrea Cavallero, luminare di praticoltura, già docente (ora in pensione ma sempre molto attivo al fianco delle aziende) dell’Università degli Studi di Torino (la sua relazione è stata da noi trascritta a partire qui).
Gli altri interventi – A seguire, l’appassionata e illuminante relazione sull’agricoltura simbiotica a cura del dottor Sergio Capaldo, presidente del Consorzio Bio Simbiotico e le testimonianze di due produttori fortemente legati all’alimentazione da erba: quella di Claudia Masera, titolare di Cascina Roseleto (più in basso nel video), produttrice in Villastellone (TO) di latte dell’erba e del fieno e derivati (formaggi, yogurt, burro, gelati) e quella di Lorenzo Bergese dell’Azienda Agricola La Corte di Monasterolo di Savigliano (CN), produttori di carne bovina di razza Piemontese allevata al pascolo, a fieno e cereali, ma anche di latte da erba e fieno, attualmente ceduto a terzi per la trasformazione (Bergese ha anche presentato la speciale seminatrice di prati – nella foto di apertura dell’articolo – progettata su indicazioni del professor Cavallero; la macchina garantisce un’altissima percentuale di germogliamento e un uso molto ridotto di sementi rispetto alle convenzionali).
Il patrimonio prativo di Caramagna Piemonte – A seguire, la relazione del dottore forestale Marco Allasia, che ha presentato lo studio “La marca delle due province”, nato dall’esigenza dell’amministrazione comunale di Caramagna di conoscere approfonditamente la realtà prativa presente sul suo territorio, di conoscere le esperienze e le realtà di altri territori che hanno sviluppato iniziative legate al prato, di gettare le basi per eventuali progetti di sviluppo, per avere la possibilità futura di portare avanti iniziative concrete per rivalutare dal punto di vista paesaggistico e produttivo i prati stabili caramagnesi.
L’intenzione dichiarata della amministrazione di Caramagna Piemonte è quella di favorire, incentivare e appoggiare concretamente i progetti di sperimentazione e di sviluppo sul prato stabile di pianura che possano creare le condizioni per realizzazione filiere ad alto valore aggiunto, affinché la naturale vocazione prativa del territorio possa affrontare le nuove dinamiche congiunturali sul piano della produzione agricola.
Con il consolidamento delle produzioni agroalimentari di qualità realmente elevata ed economicamente sostenibili, punto di unione tra la valorizzazione delle potenzialità ambientali e paesaggistiche, l’amministrazione comunale punta a favorire la ricostituzione del paesaggio naturale del territorio, il recupero dei caratteri originali dei luoghi, la difesa delle varietà animali e vegetali autoctone, e più in generale della biodiversità, su un territorio di pianura che, vista anche la presenza di un ultimo lembo di bosco planiziale (il Bosco del Merlino), fa dell’ambiente naturale caramagnese una parte integrante fondamentale per la vita della sua comunità.
Ha concluso l’incontro un intervento fuori programma dell’onorevole Mino Taricco, componente della Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati, che si conferma attento osservatore delle vicende legate alle produzioni agrozootecniche di qualità reale.
Una partecipazione altamente qualificata – Chiudiamo sottolineando la grande partecipazione dei sindaci e personalità del mondo della politica e dell’amministrazione pubblica:
• dottor Andrea Olivero, viceministro alle politiche agricole, alimentari e forestali
• onorevole Mino Taricco, componente della Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati
• Maria Coppola – sindaco di Caramagna Piemonte
• Giovanni Bongiovanni – sindaco di Cavallerleone
• Davide Sannazzaro – sindaco di Cavallermaggiore
• Giuseppe Scarafia – sindaco di Faule
• Marco Cavaglià – sindaco di Monasterolo
• Gianfranco Marengo – presidente dell’Ente Parco del Monviso
• tenente Tucci e dottor Moino del comando Forestale di Cuneo
• maresciallo Enrico Bosio, comandante della stazione dei Carabinieri di Racconigi
• vari assessori e consiglieri del gruppo “Insieme per Caramagna”
• vari esponenti del gruppo consiliare di minoranza “Caramagna Domani”
Venti infine i partecipanti appartenenti ad aziende agricole e dell’agroalimentare cuneese (in prevalenza) e torinese.
L’intervento del professor Andrea Cavallero, Università degli Studi di Torino (trascrizione, parte prima*) – “Parlare di alternative alla produzione intensiva di latte e carne attraverso la filiera dell’erba è un discorso che nel territorio di Caramagna Piemonte (in particolar modo vocato alla zootecnia estensiva, ndr) ha un’importanza notevolissima.
Se noi pensiamo che una superficie pari quasi alla metà del territorio nazionale – collinare e montuoso – è coperta d’erba e che quest’erba è malissimamente utilizzata, già questo pone a favore di riconsiderare delle alternative alla produzione intensiva di latte e carne. Tutte le volte che noi destiniamo ad animali degli alimenti che possiamo destinare all’alimentazione umana (cereali, leguminose, ndr) determiniamo uno spreco costoso in un mondo che ha fame. Anche questo aspetto va considerato.
La situazione attuale è quella di sistemi produttivi dell’allevamento bovino da latte e da carne con forte uso di razioni unifeed da insilati di mais e mangimi composti integrati. Questa impostazione ha effetti negativi sul benessere animale ed effetti riduttivi sulle caratteristiche del latte e dei prodotti – caseari e carne – che noi consumiamo. Questo emerge da ricerche mediche protrattesi da oltre trent’anni a questa parte, quindi su questo aspetto occorre che riflettiamo.
Sino alla metà del secolo scorso le vacche erano erbivori, anche in pianura, e non dovremmo stupirci più di tanto. Poi è subentrata l’impostazione intensiva derivante dalla cultura del mais, e questo ha cambiato radicalmente l’impostazione dei nostri allevamenti. Tutte le variazioni del regime alimentare naturale hanno conseguenze sulle caratteristiche del latte e sulla salute del consumatore. Troppe forzature alimentari su animali per ottenere livelli produttivi troppo alti hanno degli effetti sulla longevità degli animali, sul numero dei parti, sulla necessità di antibiotici e medicinali, sempre sotto la dose consigliata e tollerata – per carità! – ma che comunque poi consumiamo. Basta leggere Berrino per farsi venire qualche preoccupazione a riguardo.
Latte e carne con regime alimentare degli animali a base d’erba offrono invece ottime caratteristiche qualitative sia per gli animali sia per i consumatori, un collegamento al territorio, e quindi alle sue risorse foraggere, dando peso al significato di “prodotto italiano”. E poi non dimentichiamo gli effetti ambientali, paesaggistici, di sostenibilità del sistema produttivo collegato a questa differente impostazione dell’allevamento.
Razioni a base d’erba polifita danno – in breve, vi cito solo alcuni aspetti – un grande arricchimento del prodotto in betacarotene, che è un precursore della vitamina A, anticancerogeno, ed è una sostanza indispensabile per la nostra salute. Poi cambia il profilo acidico della sostanza grassa: molti acidi grassi polinaturi e monoinstauri, un alto contenuto in Omega 3, che è protettore delle malattie cardiache e infiammatorie, un contenuto in Omega 6, che è un polinsaturo essenziale (acido linoleico -La), solo se è in equilibrato rapporto con gli Omega 3. Il rapporto ideale Omega 6 / Omega 3 è tra 1 e 2, fino ad un tollerato 4. Nella carne da 2 a 4, pari a quelli degli animali selvatici, che mangiano erba, e quindi questo aspetto ci deve far pensare quando soprattutto destiniamo questo alimento ai nostri figli, ai bambini.
Sempre collegato ad un’alimentazione a base d’erba è l’acido rumenico, polinsaturo, isomeri coniugati cis-9 e trans-11, che hanno una funzione notevolissima anticancerogena e proprietà antiossidanti.
L’uomo non produce direttamente il Cla (Acido Linoleico Coniugato), che è il prodotto di una trasformazione ruminale negli animali, ma l’uomo si giova di una dieta ricca di Cla, e l’integrazione non naturale viene sconsigliata.
Quindi i bovini alimentati a mais hanno un rapporto Omega 6 / Omega 3 che va da 10 a 20. Qualche volta ci sono dei latti che hanno 6 perché sono stati integrati con semi di lino. La percentuale di grasso di animali alimentati a mais va dal 10 all’11% in più; l’animale alimentato ad erba ha percentuali di grasso – e grassi di qualità – del 2,8 – 3%. Quindi. Tutti aspetti che portano a considerare gli alimenti derivati dell’erba come il meglio che il settore animale può offrire.
Mettiamoci a confrontare queste informazioni di base con una situazione particolare dell’areale di Caramagna: il Paleo-Tanaro della pianura piemontese, l’antico corso del Tanaro che 100mila anni fa (qualcuno dice anche prima) è stato deviato in quella che oggi è la Val Tanaro, che passa da Alba. Il territorio liberato dal Paleo-Tanaro ha dato origine ad una serie di terreni di difficile valorizzazione agricola, nel loro complesso. Abbiamo impiegato più di 2mila anni a migliorare l’utilizzabilità agricola di questi terreni e ci sono comunque ancora delle difficoltà riscontrabili nel braidese, a Cherasco, a Caramagna e in alcune aree del carmagnolese.
Questo ambiente del Paleo-Tanaro, che tutto sommato oggi sono delle ristrette aree con valori ambientali, naturali e biologici collegati alle praterie permanenti, sono sempre stati un po’ considerati un ostacolo economico, oggi possono divenire un’opportunità per questo comune, che può diventare l’oasi della qualità per la filiera dell’erba in pianura.
Gli obiettivi del sistema foraggero prato-pascolivo per la qualità del latte e della carne sono quantità e qualità della produzione – e qui diremo diverse cose tra un momento – l’utilizzazione pascoliva, che va favorita, la produzione di foraggio conservato, che va modificata con tecniche di essiccamento più valide, una distribuzione della produzione foraggera prativa e pascoliva per migliorare la filiera dell’erba, che indubbiamente ha dei poteri notevoli sulle caratteristiche di prodotto.
Bisogna sviluppare un’alimentazione pascoliva al massimo possibile, perché è quella che consente all’animale, dandogli capacità di scelta in una cotica polifita, di dosare le varie parti del suo alimento (le diverse essenze vegetali) in funzione delle proprie esigenze fisiologiche. Delle prove fatte dotando gli animali di piccoli strumenti che consentivano di localizzare con grande precisione (dal nord al sud: queste prove le abbiamo fatte sull’Altipiano del Formicoso, in Alta Irpina) la loro posizione in rapporto alle caratteristiche del pascolo hanno evidenziato che gli animali consumano come ci comportiamo noi quando siamo di fronte ad un buffet ricco: assaggiamo questo, quell’altro e quell’altro ancora. Non fanno la scorpacciata di una sola specie, quindi il polifitismo è una regola fondamentale che consente all’animale di regolare il proprio fabbisogno alimentare.
Quindi il pascolo è il modo di alimentare l’animale consentendogli di scegliere. Quando gli mettiamo tutto in mangiatoia, o passa dalla mangiatoia o – come si dice – “salta dalla finestra”: non ci sono alternative. Quindi prodotti stagionali di qualità superiore, come i prati-pascoli permanenti possono darci, come prati permanenti migliorati possono darci, cercando di evitare delle trasemine con varietà differenti da quella locale. Poi anche quando il prato permanente sia di cattiva qualità, tornare ai prati avvicendati polifiti, trasformabili in prospettiva a prati permanenti.
C’è anche la possibilità di far fronte a determinate difficoltà momentanee con degli erbari precoci pascolabili. Purtroppo le conoscenze tecniche sulla praticoltura in Piemonte e in tutta Italia sono scese a valori assolutamente insufficienti e quindi occorre ritornare a insegnare questi aspetti ma sul pratico, non solo con lezioni, ma facendo vedere sul terreno che le cose possono cambiare.
Occorre valorizzare la stagionalità delle caratteristiche della produzione: la produzione dell’erba cambia nelle stagioni, cambiano le caratteristiche dei prodotti, e questo è un indice di qualità.
Perché accettiamo queste cose nel vino, dove apprezziamo la differenziazione di varietà, di crü, di modalità di vinificazione e invece tendiamo all’omologazione totale dei prodotti lattiero-caseari? Abbiamo già perso sulle Alpi una quantità enorme di prodotti di gran pregio proprio per non essere stati attenti a conservare queste caratteristiche eccezionali derivanti dal consumo di erbe molto particolari dell’ambiente montano.
Quindi l’omologazione dei prodotti che consegue ad una razione uguale per tutto l’anno determina un netto peggioramento qualitativo. Dobbiamo saper valorizzare le differenze stagionali, quindi produzioni di fieno in quantità e qualità dipendenti dalle specie foraggere, dal numero delle specie, dai rapporti compositivi fra le diverse specie, la quantità di fitomassa da affienare (noi tendiamo ad affienare quando c’è il massimo della produzione, che è il momento peggiore per affienare, perché abbiamo molta più acqua da mandar via, abbiamo un foraggio che è già vecchio, mentre abbiamo invece bisogno di tagliare quando la produzione non è al massimo della quantità ma è al massimo della qualità).
Quindi fare molta attenzione allo stadio fenologico al momento del taglio, all’orario (non è la stessa cosa tagliare al mattino; è molto meglio tagliare al pomeriggio): tutti suggerimenti tecnici apparentemente piccoli ma di grande significato pratico.
La tecnica di fienagione che va radicalmente modificata ed aggiornata (essiccatoi). È chiaro, sono impianti costosi, ma la cooperazione tra aziende potrebbe migliorare questo aspetto. L’importanza dell’essiccatoio è legata all’andamento meteorico, e durante la fienagione abbiamo tempo variabile, ma c’è modo di far fronte alle difficoltà dell’andamento meteorico (continua, la prossima settimana)“.
Da quest’ultimo aspetto – che ha necessità di un supporto visuale adeguato su cui la nostra redazione sta lavorando – in avanti ci troveremo qui di nuovo in futuro con l’edizione video della relazione del professor Cavallero.
26 giugno 2017
* Attenzione! – ci scusiamo con i lettori e con il Professor Cavallero per la qualità della trascrizione, che per mancanza di tempo è stata pubblicata “grezza”, senza la necessaria revisione, che verrà effettuata non appena possibile