L’Italia è il Paese in cui il “lupologo” parla del lupo (e la tv lo intervista) e – ora che è il turno dell’orso Dino, che in Veneto uccide asini e pecore, e devasta l’economia agricola di montagna – i giornalisti vanno a caccia dell’“orsologo”. Gli esperti di lupo e di orso raccontano sempre storie e ragioni parziali. Se li intervisti l’uno sull’orso e l’altro sul lupo non aprono bocca . Non sanno. Ma se vi specchierete nel loro pozzo di scienza scoprirete una visione sempre parziale delle cose: la loro. Che spesso, più che parziale, è “di parte”.
Ma l’Italia è fatta così, piena di giornalisti che magari sanno mettere quattro parole in fila e che ogni volta che si ritrovano a parlare di una situazione un po’ specifica (ovvero quasi sempre) chiedono ad uno ed un solo intervistato di raccontare come stanno le cose. Anche quando le situazioni sono esasperate, e gli schieramenti e i fronteggiamenti inevitabili.
Ora che la vicenda dell’orso Dino (che sulle montagne venete ha portato morte tra gli animali da reddito e scompiglio nelle microeconomie alpine) ha messo una contro l’altra le realtà montane (che in montagna vivono da sempre, e che sopravvivono di pastorizia e allevamento) e quelle urbane (orde di ambientalisti da salotto, esperti a quelli collegati e mondo della politica che cerca sempre il consenso dei grandi numeri), ecco che i giornalisti cercano l’esperto in città. E trovano quello che racconterà la montagna studiata sui libri, le teorie, la “scienza esatta”.
Purtroppo per loro, e per questa povera Italia disinformata, non esiste un unico “caso orso” in Italia. Nessuna storia è uguale ad un’altra perché gli orsi sono diversi tra di loro. Una bestemmia paragonare, come qualcuno ha fatto dimostrando una ignoranza abissale, l’orso abruzzese e il suo basso impatto sulle economie pastorali con l’orso Dino, che sulle Alpi venete si trova non perché lì è nato ma perché vi è stato introdotto dalla Slovenia. Un orso quindi che non è discendente di orsi che lì son sempre stati (e che vi avrebbero sviluppato il necessario e lento “accomodamento” con gli altri soggetti in causa: dalle pecore agli asini, agli allevatori che di bestie ne hanno poche e di quel poco vivono) ma che è stato “catapultato” con tutta la sua aggressività in un territorio fragile, con un’economia già in sofferenza, che di problemi da affrontare ne aveva già da prima dell’arrivo di Dino e di ben gravi.
Nei giorni addietro abbiamo assistito in tv, alla radio e sui giornali, alle non poche esternazioni del saputello di turno, vuoi esso l’uomo della strada che basa il suo animalismo sulla tenerezza indotta dalla retorica disneyana di Bambi, vuoi il politico scaltro, che si è messo dalla parte dei tanti per meri giochi di spicciolo consenso.
Come al solito, un comunicatore esperto si è distinto nel commentare quanto accaduto: il professor Michele Corti, ruralpino convinto e grande conoscitore (lui sì!) del “problema orso”. Eccovi il suo racconto dei fatti, visti non da una parziale e partigiana prospettiva ma basati su una coscienza complessiva della situazione. Alle sue approfondite e sacrosante cronache rimandano i link che qui vi segnaliamo:
Il serial killer degli asini respinto in Slovenia
Galan tessera n° 1 del Partito dell’orso
Buona lettura!
27 maggio 2010