Ci sarebbero un brevetto conteso, a quanto pare, e la disputa di mercati milionari dietro i due annunci, quello recente argentino e quello di alcuni mesi fa della Cina, secondo cui le due nazioni sarebbero vicine a mettere in produzione un latte presentato come “simil umano” da vacche clonate.
Gli approcci dei gruppi di ricerca impegnati nelle due operazioni appaiono sostanzialmente diversi: da una parte il recente annuncio argentino è quello della vitella Rosita (nella foto), nata in aprile per clonazione e caratterizzata dall’introduzione di geni umani nel proprio organismo (apporterebbero una proteina assente nel latte vaccino – la lattoferrina – e l’antibatterico lisozima), dall’altra una meno trasparente comunicazione orientata a raccontare, più che la sostanza delle cose, le sue dimensioni (sarebbero già pronte trecento giovani vacche che in capo a dieci anni guiderebbero un esercito di bovine) e il loro impatto sul mercato.
E proprio una questione di mercato parrebbe celarsi dietro questa convergenza di intenti e di azioni, non ultima quella mediatica, che se da una parte sollecitano la perplessità e le considerazioni etiche di mezzo mondo, dall’altra portano ad accendere un faro sullo stato attuale del mercato cinese. Nel Paese l’anno scorso si sono registrati consumi per circa 41 miliardi di litri di latte, 4,2 dei quali importati (con una ulteriore crescita stimata per il 2011 di +3,2 miliardi di litri), il che rende appetibile quel mercato ai maggiori competitor esteri, anche in ragione della sempre crescente richiesta dei consumatori cinesi per i prodotti lattiero-caseari in genere, dovuta al miglioramento dei redditi e a un sempre maggiore attività di marketing diffuso.
Gli interessi del mercato argentino del latte appaiono ora manifesti: il sostegno di una parte del mondo scientifico all’industria lattiera è oramai dichiarato, e il proposito è quello di andare ad attaccare principalmente il maggiore mercato mondiale, su cui appare però già ben piazzato il gigante Fonterra. I responsabili dell’azienda neozelandese, che ha uffici ad Hong Kong, hanno dichiarato proprio in queste ore di voler espandere sia la gamma dei prodotti proposti al mercato cinese sia la distribuzione geografica nel Paese (da sette a quindici città coperte entro il 2014) dei marchi di consumo e dei prodotti caseari anche di “alta qualità” e dedicati alla ristorazione . «Tutto questo» – dichiarano i magnati del colosso neozelandese – «in ragione del fatto che quel mercato triplicherà entro il 2020, passando dall’attuale valore di 23 miliardi di dollari ai 70 miliardi di dollari».
In sostanza, deve tranquillizzarsi chi oggi si preoccupa, in occidente, dei rischi legati a quel tipo di prodotto. Al di là della notizia scientifica e dei rischi sanitari e della questione etica iniziano ad apparire più chiari i contorni di uno scenario di dimensioni straordinarie. Un mercato inimmaginabile solo dieci anni fa che oggi rappresenta la prospettiva di profitti colossali, e una competizione che lascia prevedere ulteriori colpi di scena non solo tra due giganti del settore (industrie australe e sudamericana) abituati da anni a competere tra di loro ma tra loro e un terzo giovane soggetto produttivo – l’industria lattiera cinese – di cui tutto è ancora da scoprire.
17 giugno 2011
per approfondire: http://www.ft.com/cms/s/2/19dea190-9536-11e0-a648-00144feab49a.html#axzz1P9bFb5M2