I centocinquanta anni da una nascita, o da una scoperta rilevante – come tutti quelli a cifra tonda – vengono celebrati in genere con qualche evento pubblico che li ricordi e ne sottolinei il valore, o quantomeno attraverso i media, che non perdono occasione per rammentarcene i dati salienti. Così non è stato quest'anno per la pastorizzazione, che celebra appunto il secolo e mezzo di età e che – trascurata dai più – rischia ora di far parlare di sé nella concreta prospettiva di venir superata da nuove conquiste del mondo scientifico.
Neanche a farlo apposta, quindi, proprio in concomitanza con un anniversario così tondo, il processo di "risanamento" termico applicato ormai a molti prodotti alimentari per eliminare i microrganismi patogeni (compromettendone però altri utili!) rischia di iniziare la sua parabola discendente, a seguito dei risultati di una ricerca condotta presso l'Università di Oviedo. Il nuovo processo, già brevettato dagli autori (nel mese di febbraio, e sino ad oggi testato, a quanto pare, con ottimi risultati, ndr), è stato messo a punto dal professor Fernando Fierro Roza (titolare della cattedra di Microbiologia presso la Facoltà di Medicina) e dai ricercatori Teresa Andrés, Jéssica González y Maikel Acosta ed è definito per ora, anche se impropriamente, "pastorizzazione non-termica".
Anziché utilizzare la "sterilizzazione termica", che consiste nel sottoporre il latte ad un elevato calore per per pochi secondi, al fine di uccidere i microrganismi, i ricercatori dell'università asturiana hanno optato per una soluzione assai diversa. In sostanza il loro lavoro si è basato sull'uso di una proteina presente nel latte e denominata lattoferrina, caratterizzata da proprietà fortemente antibiotiche.
Come talvolta accade anche nelle migliori università, la scoperta avrebbe una natura quasi accidentale, basandosi su uno studio operato in un altro campo della scienza – la medicina – e datato 2010. In sostanza, nell'investigare le dinamiche microbiologiche relative alla fibrosi cistica, si constatò la forte azione antibiotica svolta da questa proteina, «presente», ha spiegato il professor Fierro Roza, «nelle infezioni in genere e in particolare nei fluidi delle mucose, nel sangue e anche nel latte».
Grazie alla sua azione antimicrobica, la lattoferrina permette una sorta di "autodecontaminazione" consentendo al latte di mantenere molte delle proprietà altrimenti perse con la pastorizzazione (72-74°C per 15") e con l'uperizzazione (135°C per 2-8" per ottenere latte uht). Interpellato sui meccanismi che governerebbero questa nuova metodologia, il professor Fierro Roza ha sottolineato le proprietà antimicrobiche della lattoferrina, proteina che nel latte fresco rimane inattiva. Per attivarla bisogna attuare un metodo che parrebbe non avere una spiegazione semplice. «Il latte», ha spiegato l'esperto microbiologo, «contiene ioni calcio, ioni potassio e ioni sodio; intervenendo su questi (con il processo di deionizzazione, ndr) la lattoferrina inizia a funzionare e ad eliminare i microrganismi patogeni».
Come noto, invece, i sistemi di pastorizzazione alterano il prodotto, comportando la perdita di molte proprietà del latte crudo: dalla distruzione degli enzimi (che permettono l’assimilazione del calcio) e dei batteri lattici (uno tra tutti, il lactobacillus acidophilus: indispensabile per la sinterizzazione della vitamina B nel colon ed elemento che fornisce al latte proprietà battericide) alla perdita parziale di alcune vitamine, all'annullamento delle proprietà battericide del prodotto (che lascia poi il campo libero al successivo e rapido sviluppo di batteri nocivi).
Da quanto si apprende dalle fonti spagnole, il team del professor Fierro Roza ha testato per mesi i risultati della propria ricerca, giungendo a confrontare la conservabilità e il deterioramento nel tempo, in ambiente refrigerato (a 4°C) del latte "pastorizzato non-termicamente" con il comune latte pastorizzato. L'analisi giornaliera dell'acidità dei campioni ha consentito di verificare che il latte pastorizzato raggiunge il valore di 6,4pH al quarto o quinto giorno, mentre il latte frutto della nuova ricerca raggiunge i sette giorni di shelf life.
La possibile e auspicabile applicazione dei risultati della ricerca al settore alimentare, su scala mondiale, ha portato rapidamente gli artefici del progetto a lavorare allo sviluppo di un "prototipo" di questo "nuovo latte", in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Elettronica del Campus Universitario di Gijón. Le prime voci che circolano sulla possibile commercializzazione del brevetto parlano già di un forte interessamento di gruppi industriali tedeschi e italiani per l'applicazione della nuova tecnica di "risanamento" del latte, che sarebbe apprezzata anche per il contenimento dei costi energetici.
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Per approfondire: clicca qui per scaricare il documento (pdf, in lingua spagnola) di registrazione del brevetto
26 maggio 2012